Il 2017 è stato per la rivista “Arte” un anno che non esito a definire fuori dall’ordinario per la mole delle due uscite della rivista, che complessivamente sfiora le 600 pagine. Naturalmente questa è la conseguenza di una precisa scelta editoriale, che ha previsto la pubblicazione all’interno di un numero ordinario della rivista – il numero 1, che di fatto ha assunto carattere monografico – dei contributi scaturiti dal convegno su Aldo Gorfer tenuto nel novembre 2016; una scelta che da un lato sottolinea quell’esperienza di condivisione pubblica come momento fondativo di interesse comune per tutti coloro che ‘frequentano’ la rivista e Studi Trentini (e non solo per chi ha partecipato al convegno) e dall’altro ha tenuto in conto anche una doverosa esigenza di razionalizzazione delle spese editoriali. Il numero 2, peraltro fresco di stampa, ha invece mantenuto il tradizionale carattere miscellaneo.
In un totale di 21 saggi, i nostri volumi hanno parlato di una grande varietà di temi che enucleo brevemente: il rapporto fra narrazione del territorio in area alpina da una parte, storiografia e giornalismo dall’altra; il racconto della vita contadina nel Trentino e nel Tirolo del sud; la protezione della natura in Trentino nel secondo Novecento; le esperienze pionieristiche di Gorfer autore delle Valli del Trentino e dei Castelli del Trentino; l’eredità storiografica di Gorfer per lo studio dei castelli e per l’archeologia; il suo impegno in prima persona per la tutela del patrimonio culturale; il suo ininterrotto rapporto con l’arte e gli artisti. E poi le committenze dei Cles in san Romedio fra Quattro e Cinquecento; i modelli figurativi nella produzione di altari di Jörg Arzt nel primo Cinquecento; gli affreschi della pieve di Cavalese; storie di orefici e di oreficerie a Trento fra Cinque e Ottocento; una nuova acquisizione per il pittore Giovanni Francesco Furlanello; storie di committenza e collezionismo dei Salvadori; una raccolta numismatica di età moderna ad Ala; due novità sulle passioni collezionistiche di Carlo Firmian; un’opera sconosciuta di Livio Benetti a Trento. E ancora due editoriali – segnalo in particolare per la sua marcata attualità l’ultimo, sul tormentato percorso di riforma dei musei; due testimonianze – anche in questo caso ricordo la più recente, sui temi della salvaguardia del patrimonio culturale e della prevenzione dei rischi da catastrofi naturali; infine il consueto repertorio bibliografico annuale e dieci recensioni.
Quattro le occasioni di uscita pubblica delle riviste: dopo un primo appuntamento a Mezzolombardo il 6 aprile 2017, ricordo una seconda presentazione al Castello del Buonconsiglio il 15 giugno e soprattutto la partecipatissima presentazione del numero gorferiano a palazzo Geremia a Trento, il 14 dicembre; e, da ultimo, la presentazione del numero 2-2017, svoltasi due giorni fa a Sanzeno.
Per quanto riguarda l’attività interna, quattro sono state le riunioni della redazione ristretta mentre un ulteriore incontro plenario è stato aperto anche a tutti i collaboratori. Riguardo a questi ultimi, un anno fa abbiamo iniziato a sperimentare un loro maggiore coinvolgimento operativo nelle attività di costruzione della rivista; poiché il tentativo ha funzionato solo in parte, occorrerà pensare ancora a nuove modalità organizzative, come dirò più avanti. Mi preme inoltre comunicare che lungo il 2017 è stata riconfermata la disponibilità del Servizio attività culturali della Provincia a curare un corposo pacchetto di spedizioni a circa 180 contatti – in massima parte biblioteche italiane ed europee – e sono stati completati la revisione e l’aggiornamento del relativo indirizzario, per assicurare un’ottimale diffusione della rivista (per lo meno rispetto alle risorse oggi a disposizione).
Nel complesso questi dati rappresentano una pubblicazione che, nonostante una generale – e direi anzi poco confortante – perdita di attenzione nel grande pubblico rispetto ai temi del patrimonio culturale, riesce ancora a riscuotere un interesse significativo, o addirittura caloroso quando intercetta temi e personaggi tuttora molto sentiti, come nel caso di Aldo Gorfer. Ma al di là di questo aspetto epidermico, evidentemente positivo, del quale il direttore non può che essere felice, permettetemi di mettere in luce alcuni aspetti meno visibili del nostro lavoro. Anzitutto la presenza di giovani autori, che sulla rivista affrontano a volte la loro prima fatica editoriale: è un segnale incoraggiante, che vogliamo assolutamente coltivare, anche se ciò comporta costi elevati in termini di tempo e di fatica. Noi non siamo, né dobbiamo atteggiarci ad essere il “Burlington Magazine”, che può selezionare saggi già di per sé eccellenti: sappiamo anzi che alcuni lavori vanno accompagnati e maturano – anche in modo eccellente – proprio nella misura in cui da parte nostra si dedica loro attenzione e cura in ogni fase. In secondo luogo va evidenziata la positiva varietà dei temi proposti alla rivista: non ci sono, insomma, delle ‘monoculture’, e non mancano le disponibilità a trattare argomenti di stretta attualità, anche se permane certamente una minore presenza del contemporaneo, per ragioni che già un anno fa ho cercato di definire all’interno di un editoriale.
Curare una rivista di storia delle arti, questa rivista, costa impegno. Non solo per il lavoro nel merito dei singoli contributi, ma anche per lo sforzo complessivo che ciascun numero richiede in cura redazionale, selezione iconografica, progettazione editoriale, laddove si voglia mantenere un accettabile livello di qualità, sia scientifica che editoriale. Allora va detto chiaro: questa rivista non è un giardino in cui cogliere allori personali, né un circolo per connoisseurs vanitosi, né tantomeno una riga ‘facile’ da aggiungere al curriculum. Al contrario, e in primo luogo, è uno spazio dove persone di buona volontà lavorano duramente, mettendosi alla prova non soltanto con la sfera scientifica – che a buon diritto attrae tutti noi – ma anche con molto lavoro fatto di correzioni testuali incrociate, di meditate annotazioni, di frustranti controlli di note, bibliografie e didascalie, di bozze riviste fino all’esasperazione, di tante email notturne o mattutine. Devo ringraziare anche quest’anno la redazione esecutiva che sostiene questo carico insieme al sottoscritto (Michele Anderle, Francesca de Gramatica, Salvatore Ferrari, Aldo Galli, Luciana Giacomelli, Giuseppe Sava) e i collaboratori scientifici che di volta in volta hanno risposto agli appelli. Ma anche così, l’impegno rimane schiacciante: per il futuro è auspicabile un maggior apporto da parte dei collaboratori in gruppi di lavoro direttamente operativi – e questo è un tema di cui mi farò interprete nei prossimi mesi – e c’è da sperare anche nell’aiuto da parte di altri soci volonterosi che vogliano farsi avanti.
In generale, serve una maggiore e più coesa partecipazione di storici dell’arte e dell’architettura, architetti, archeologi alla vita della Società: infatti pur non essendo moltissimi – i numeri ci vedono nettamente meno numerosi dei colleghi storici – anche noi, per la nostra parte, abbiamo sulle spalle la responsabilità di far vivere Studi Trentini e uno dei suoi due volti editoriali, ossia la rivista “Arte”. Il tempo che dedicheremo sarà sempre bene investito: non soltanto perché “Studi Trentini. Arte” è uno spazio di lavoro libero e autonomo, aperto a tutti e non solo a questo o a quel soggetto, ma soprattutto perché questa rivista è per il nostro territorio (e non solo) uno strumento indispensabile per la conoscenza, e quindi per la sopravvivenza futura dei beni. Dobbiamo infatti tenere ben presente che si tutela e si conserva solo ciò che si conosce.
Ne offre dimostrazione il caso recente di un piccolo belvedere neogotico, costruito nel primo Ottocento ad Ala, e reso noto per la prima volta giusto un anno fa sulle pagine della rivista; un’architettura sicuramente minore nell’edificato storico del luogo, per di più pesantemente manomessa nei decenni scorsi, ma comunque meritevole di attenzioni come uno dei tanti piccoli oggetti che hanno un valore relativo se singolarmente considerati, ma che nell’insieme formano il tessuto fragile e irripetibile dei nostri paesaggi urbani o rurali: quel tessuto che una volta perso non si recupera più. La pubblicazione da parte di Studi Trentini ha se non altro salvato una scheggia di memoria di un luogo e di un edificio che gli sforzi ingentemente profusi da associazioni e istituzioni, Soprintendenza in primis, non sono stati sufficienti a salvare, nell’ambito di un vasto programma di revisione del comparto urbano in cui sorgeva la torretta.
In questo caso, dunque, la pubblicazione in extremis non è bastata, ma per quanti altri oggetti sconosciuti del nostro Trentino anche una semplice segnalazione sulle pagine della rivista varrebbe ad aumentarne le possibilità di sopravvivenza? Quanti lavori ciascuno di noi ha nel cassetto, e quanto risulterebbero utili quei lavori per aumentare la consapevolezza diffusa del nostro patrimonio culturale? Il nostro compito non è solo quello di studiare e difendere le grandi opere d’arte, quelle a cui riserviamo l’appellativo di capolavori (quei capolavori che, proprio perché tali, spesso si difendono da soli); ma è prima di tutto di amare, conoscere e salvare il tessuto che fa loro da sfondo, senza il quale noi stessi non saremmo più noi.

Luca Gabrielli