“L’arte, di per sé muta e indifesa, non può proteggersi che con la fama, e la fama è la critica sempre desta”. Sono parole famose, tratte da una lettera aperta diretta da Roberto Longhi a Giuliano Briganti nel dicembre 1944 a lamentare le brutali distruzioni della guerra, che Longhi reputava aggravate proprio dall’atteggiamento degli studiosi, che con il loro lavoro non erano stati in grado di creare sufficiente “fama” per proteggere quanto in- vece era andato perduto sotto le bombe.
Pur nel variare di tempi e contesti, quelle parole continuano a definire il nostro compito di interrogare ciò che di per sé è muto. “Se rinunciassimo a farlo – a dirlo, stavolta, è Tomaso Montanari – quelle opere che tanto amiamo uscirebbero pian piano dalle nostre vite. E alla fine rischierebbero perfino di scomparire materialmente”. Proprio un anno fa, in questa stessa sede, ci interrogavamo sulla scomparsa del cosiddetto ‘patrimonio minore’ non per causa d’incuria o di vandalismo, ma per effetto fisiologico della sua perdita di senso rispetto al sentire contemporaneo. Ritorno oggi sulla questione poiché ci porta dritti al senso di avere in Trentino una rivista di storia delle arti.
La ricchezza del significato di “Studi Trentini. Arte” risiede nel suo essere a servizio di una conoscenza che non è solo finalizzata all’esigenza – peraltro legittima – di comprendere i fenomeni e le loro cause; infatti quella conoscenza è spesso utile per le implicazioni sulla conservazione materiale di un monumentum, di ciò che tramanda memoria. A ciò si aggiunga la complessità di fisionomia che deriva alla rivista dal suo essere a scavalco di una terra che nel passato – invero molto più di oggi – è stata cerniera non solo geografica e linguistica, ma culturale.
Venendo all’attività della rivista per l’annata scorsa, la prima parte l’avete già conosciuta attraverso il numero 2018/1 che ha ospitato, nell’ordine, Annamaria Azzolini e Walter Landi con due importanti saggi dedicati, da punti di vista diversi, a un’importante e inedita decorazione araldica tardo- trecentesca ad Ala; Beata Marcinik con la seconda parte dello studio su un ripostiglio monetale, ancora in territorio alense, e sul fenomeno delle falsificazioni nella Venezia di tardo Cinquecento; Roberto Pancheri con una galleria di ritratti di Giovanni Battista Lampi nelle collezioni trentine, in parte inediti; Paolo Dalla Torre, che ha indagato due momenti della committenza dei Firmian nell’Ottocento; per la sezione dedicata alle fonti d’archivio, Elvio Mich e Italo Giordani, che hanno reso note importanti novità sulla dimora del pittore Giuseppe Alberti a Cavalese; per la sezione Album, Emanuele Curzel e Daniela Dalmeri, che hanno composto una pic- cola raccolta di istantanee di turismo patriottico nel territorio trentino- tirolese negli anni Trenta del Novecento; per la sezione delle recensioni, Ezio Chini e la sua riflessione sul “Rinascimento fra i monti” a partire da una pregevole mostra allestita a Bressanone nel 2017. Non è mancato inoltre il tradizionale repertorio bibliografico trentino per l’anno 2017, curato da Sara Retrosi.
Scoprirete a breve la seconda parte dell’attività annuale nel secondo numero di prossima uscita, di cui con piacere vi anticipo i contenuti. Fabio Campolongo, Serena Bugna e Silvia Invernizzi rendono noti gli esiti dei recenti sondaggi in alcune porzioni dell’antica chiesa di San Marco, che hanno rivelato la sussistenza sotto diversi strati di intonaco di ampie porzioni del parato pittorico medioevale; Marco Mattedi discute un oggetto prezioso e raro delle collezioni del Castello del Buonconsiglio, un rilievo quattrocentesco in madreperla di ambito tedesco raffigurante una Crocifissione; Stefano L’Occaso apporta novità per l’attività di Marc’Antonio Donzelli e Pietro Donzelli nella Riva del Garda di fine Seicento. Molto ricca la sezio- ne documentaria: Marco Stenico insegue Alessandro Vittoria in un viaggio in valle di Fiemme, alla ricerca di una cava di ‘marmori’ di cui l’autore propone, con validi argomenti, la possibile ubicazione; Massimo Negri pubblica una lettera inedita di Marco Mantova Benavides a Cristoforo Madruzzo e ne chiarisce il contesto; Franca Barbacovi indaga i passaggi ereditari del palazzo Lodron di via Calepina nel 1604 nel quadro delle relazioni patrimoniali e di potere fra i Lodron e gli Altemps. Per la sezione delle testimonianze, Ezio Chini dialoga con l’importante storico dell’arte, nonché nostro socio, Anchise Tempestini.
È mio dovere evidenziare anche due ambiti d’attività che ci hanno impegnati nell’anno ma sono tuttora in corso, e richiederanno pertanto una continuità anche nel triennio prossimo. Il primo è la monografia di Pietro Delpero dedicata al pittore seicentesco Francesco Marchetti, giunta al termine della fase di revisione propedeutica alla pubblicazione. Il secondo è il progetto di un numero monografico dedicato a Marcello Fogolino e al con- testo della sua attività fra Vicenza, il Friuli e il principato vescovile di Trento, che curo insieme a Marina Botteri e per partecipare al quale molti soci sono già stati interpellati negli ultimi giorni o lo saranno nel corso dei prossimi.
Mi soffermo quest’anno con maggiore ampiezza sul resoconto dell’attività annuale perché vi si leggono in filigrana alcune linee generali che la rivista ha sviluppato, mi auguro con qualche elemento positivo, nell’intero triennio. Metto al primo posto la volontà di aprirci a un pubblico più am- pio dei soli specialisti. Siamo e restiamo una rivista scientifica, ma non per questo vogliamo rinunciare ad attrarre il pubblico di coloro che non siano strettamente ‘addetti ai lavori’: con le immagini e la linea grafica, alle quali riserviamo la migliore cura che è nelle nostre forze, certo limitate, al fine di produrre volumi piacevoli da sfogliare, con un apparato ricco, capace di per sé di sollecitare confronti e idee, come pure di dare piacere all’occhio; ma anche con i testi, che ci sforziamo di rendere accessibili – pur nella complessità non negoziabile dei temi – anche al non specialista che voglia concederci almeno la pazienza della lettura. Quest’ultimo obiettivo implica un lavorìo alacre fra la redazione e gli autori; autori tutti ai quali va la mia gratitudine per la disponibilità manifestata a seguire il sottoscritto e la redazione sulla strada di un’accessibilità più ampia e piana, anche a prezzo di non lievi revisioni.
In secondo luogo sottolineo l’intento di bilanciare i contributi a firma di studiosi dal profilo e curriculum consolidati e quelli proposti da giovani studiosi, che spesso trovano in “Studi Trentini” la prima opportunità per dare alle stampe i propri lavori. Riservare spazio alle opere prime richiede evidentemente un altro grande sforzo di accompagnamento, ma altresì apporta linfa nuova e quanto mai necessaria al mondo degli studi (non solo strettamente locale).
Evidenzio in terzo luogo il tentativo di promuovere una trasversalità fra settori disciplinari, ad esempio fra le tematiche dell’architettura e quelle della decorazione e dell’opera d’arte mobile; un taglio specialistico proprio per ciascuna è opportuno e necessario, ma sono altresì indispensabili punti di vista se non unici ed esclusivi – cosa che per l’appunto non può essere – quanto meno in reciproco ascolto, per comporre interpretazioni coordinate, soprattutto per gli oggetti complessi che abbiano un carattere unitario.
Non posso esimermi dal ricordare infine il lavoro sulle fonti, che fa parte dell’identità storica della Società di Studi Trentini e che soprattutto per la storia delle arti richiede, e oserei dire impone, un deciso ritorno di interesse e impegno degli studiosi per la ricerca d’archivio.
Ricordo infine, sullo sfondo di tutto quanto detto, il significato e il ruolo della rivista, luogo di studio e condivisione aperto alla collaborazione con e fra gli enti portatori di interesse (Soprintendenza, Musei, istituti e luoghi di cultura, Università), ma al contempo spazio libero, autonomo ed equidistante da queste istituzioni.
Questa fisionomia si deve non tanto e non solo agli intendimenti e alle possibilità del direttore ma al profilo della redazione, anzitutto di quella ristretta e maggiormente operativa, composta da Michele Anderle, Francesca de Gramatica, Salvatore Ferrari, Aldo Galli, Luciana Giacomelli e Giuseppe Sava, che sentitamente ringrazio per l’impegno profuso in modo generoso e per il sostegno sempre fattivo; la mia gratitudine per l’apporto concreto a singoli momenti dell’attività nonché per la cordiale presenza attorno alla rivista va anche alla redazione allargata e dunque ad Andrea Bacchi, Marina Botteri, Luciano Borrelli, Lia Camerlengo, Antonio Carlini, Fabio Campolongo, Ezio Chini, Laura Dal Prà, Giovanna degli Avancini, Andrea Giorgi, Marco Gozzi, Lucia Longo, Michelangelo Lupo, Pietro Marsilli, Franco Marzatico, Elvio Mich, Roberto Pancheri, Domenica Primerano, Sara Retrosi, Luca Siracusano, Helmut Stampfer, Alessandra Tiddia.
Guardando al triennio che si apre oggi, mi auguro che la rivista “Arte” possa essere valorizzata e rafforzata dal prossimo gruppo dirigente almeno quanto l’uscente gruppo ha saputo e potuto fare. Per quanto mi riguarda direttamente, una disponibilità a proseguire il lavoro anche per il triennio a venire è possibile, beninteso se i soci lo riterranno opportuno. L’agenda di lavoro è ricca non solo di progetti avviati e di contenuti scientifici, ma più ancora di temi e questioni d’indirizzo che qui elenco sommariamente: una più solida e articolata organizzazione del lavoro scientifico e redazionale, che sgravi almeno in parte il direttore da un onere a volte superiore alle forze; una più convinta risposta dei soci storici dell’arte alla vita della Società e della rivista; una riflessione strutturale sui costi di produzione delle riviste, e in particolare della rivista “Studi Trentini. Arte” proprio in ragione di quelle specificità grafiche e iconografiche cui accennavo poco fa; un ridisegno del rapporto fra la rivista e la Provincia autonoma di Trento, che interpreti sotto una luce attuale le ragioni della fondazione della testata nel 1976, riconoscendo e valorizzando i punti di forza di una rivista territoriale dedicata alla storia delle arti per le strutture dell’ente pubblico portatrici di interesse; un deciso rafforzamento del rapporto fra la rivista e il mondo dell’Università.
Fin qui molti temi concreti, e in certo modo contingenti. Credo però, cari colleghi storici dell’arte, che la nostra agenda di soci attivi all’interno di Studi Trentini dovrebbe tornare a includere anche questioni di ordine prettamente storiografico. Questioni che non è questa la sede per sviscerare, ma sulle quali mi permetto una digressione finale poiché esse fanno parte costitutiva di una società di studi come questa. Qualche anno fa i colleghi storici ingaggiarono un’articolata discussione sul significato e sulla possibilità di sopravvivenza delle cosiddette ‘grandi narrazioni’, intese come orizzonti di senso, di carattere generale e condiviso, capaci di orientare sia le scelte di ordine politico e sociale, sia i percorsi storiografici. Il dibattito a più voci che ne scaturì, apparso sulle pagine della rivista “Studi Trentini. Storia”, mi colpì non solo per il merito e la vitalità dei contenuti, ma anche per le domande che quello scambio indirettamente poteva stuzzicare pure per l’altro versante, quello della storia dell’arte. È infatti evidente che per quanto riguarda l’ambito trentino gli studi storico-artistici hanno accanto- nato da tempo l’ambizione a perseguire la ricerca di una qualche ‘grande narrazione’; e forse con più di una ragione, a partire dal legittimo e anzi doveroso riconoscimento di quei caratteri specifici, discontinui, talvolta irriducibilmente diversificati dei fenomeni artistici nei differenti microcontesti urbani e di valle lungo i secoli, caratteri che certo non agevolano la ricerca di ampi orizzonti di senso. Tuttavia dobbiamo annotare che, una vol- ta tramontata la fortuna del genere ‘grande narrazione’ artistica – diciamo almeno dopo la Storia dell’arte del Rasmo – gli studi storico-artistici hanno manifestato la tendenza a diminuire progressivamente e quasi smarrire anche l’interesse per i quadri d’insieme: sempre più rari nell’ultimo quindicennio e concentrati in massima parte nel secolo alle nostre spalle, sia pure con alcune lodevoli eccezioni che arrivano fino all’oggi, peraltro in più casi uscite dalla testa e dalla penna di voi qui presenti. La tendenza a restringere sempre più il campo visivo degli studi, e a produrre una messe di con- tributi di per sé pregevole, ma talvolta eccessivamente parcellizzata, si manifesta in Trentino in termini che trovo più marcati rispetto ad altri conte- sti (pensiamo solo al vicino Alto Adige o al Tirolo). Cosicché a una visione nitida dei singoli episodi corrisponde sempre più raramente una possibilità di lettura e interpretazione comparata dei fenomeni storico-artistici, che sappia andare oltre coordinate di tempo e di spazio di volta in volta limitate.
Sulle cause di questa tendenza a ripiegarsi entro i confini – territoriali e mentali – potremmo discutere a lungo. Una almeno la escluderei, ed è la carenza di ‘materia prima’: persone, idee e talenti per la storia delle arti non mancano, soprattutto in questa Società. Ma anche oggi, come negli anni scorsi, non posso negare che piacerebbe vederne, sentirne e leggerne di più.
È pur vero che paradigmi storiografici da una parte e grandi quadri d’insieme dall’altra sono come i padri, fatti cioè per essere alternativamente amati e rifiutati, imitati e denigrati. Ma se anche pensiamo che i paradigmi in quanto tali ci vadano troppo stretti, non dovremmo rinunciare almeno agli obiettivi del confronto e della sintesi, e soprattutto alla capacità di una visione ampia dei fenomeni; ciò che orienta ai grandi quadri d’insieme, per l’appunto. Ora, cari colleghi storici dell’arte, se c’è un luogo dove potremmo tutti lavorare per riacquistare sguardi ‘lunghi’, reimparare a disegnare linee storiografiche – anziché punti – e recuperare l’istinto a diventare anche noi ‘padri’ da seguire o contestare, secondo il naturale e sano ciclo del tempo che scandisce la nostra vita come i nostri studi, quel luogo è Studi Trentini. Potrebbe non essere (soltanto) un’utopia.

Luca Gabrielli