Cominciando la cartolina inviata a Gino Onestinghel il 14 settembre 1918, Alcide Degasperi scriveva: “giammai mi ha tormentato problema più grave di questo”. Il deputato cattolico stava parlando (spero con ironia, e spero con ironia compresa dal destinatario) di trovare il modo per essere presente alla riunione preparatoria della Società di Studi Trentini che si sarebbe tenuta a Trento qualche giorno dopo.
Io mi sono chiesto come avrei potuto rendere questo intervento un po’ diverso dal solito e non indurre, in chi è presente o in chi leggerà, un moto di fastidio o un attacco di noia di fronte alla solita riproposizione del consueto schema, uno schema che i più maliziosi – senza sbagliare di molto – penseranno che sia rivolto soprattutto a esaltare le capacità organizzative del direttore.
Giammai, dunque, mi ha tormentato problema più grave di questo.
Alla fine Degasperi non riuscì a partecipare all’assemblea, “al convito che voi, dotti e veggenti nel passato, dedicate all’avvenire”
E io non trovo niente di meglio da fare che presentare il solito resoconto quantitativo.
Nel 2017 la rivista è uscita nei mesi di aprile – anzi, alla fine di marzo – e di ottobre, con uno scostamento rispettivamente di 3 giorni in anticipo e di 13 in ritardo rispetto al previsto (il n. 1/2018 è uscito con un ritardo di 9). Le dimensioni sono tornate, dopo gli eccessi del 2016, a livelli più convenienti: 330 e 300 pagine, per un totale di 630 (anche il n. 1/2018 ha un numero di pagine vicino allo standard: 320). Il 2017 ha visto anche l’inizio di un diverso sistema di gestione degli aspetti tipografici, che ha aumentato la responsabilità del direttore (il quale produce il pdf) ma ha diminuito sensibilmente i costi e abbreviato i tempi, con risultati che, graficamente parlando, mi sembra che si possano considerare paragonabili a quelli prodotti professionalmente (tenuto conto, ovviamente, delle limitate necessità di ST.S dal punto di vista della qualità grafica).
Sulla rivista sono stati pubblicati complessivamente quattordici saggi e otto tra note, comunicazioni e notizie di “lavori in corso”. Di questi 22 testi nessuno è stato dedicato alla storia antica, una sola breve nota alla storia medievale, nove contributi sono di storia moderna (il periodo che sta tra il XVI e il XVIII secolo ha ricevuto molta attenzione), due si collocano a cavallo tra XVIII e XIX secolo, dieci sono di storia dell’Ottocento e, soprattutto, del Novecento. “Studi Trentini”, nel 2017, ha parlato (in ordine alfabetico) di vescovi di Bressanone, Cimbri a Rovereto, pergamene delle Clarisse, atti dei confini, Jan Dembowski, Celestino Endrici, memoria della seconda guerra mondiale, lamentele delle comunità, Levico, Chiara Lubich, lupi, Tullio Marchetti, Antonio Maturi, Sebastiano Montignosi, Carlantonio Pilati, registrazioni d’epoca, archivio Rodler di Fierozzo, Christian Schneller, permute di territori, Giovanni Battista Trener, Leo Valiani, Villa Lagarina. Nella consueta eterogeneità dei contenuti, noto un frequente riferimento a vicende biografiche; costante la presenza di solide fondamenta di fonti, specialmente archivistiche. Di questo argomento ho parlato intervenendo al convegno organizzato il 9 ottobre 2017 da Cecilia Nubola e Katia Occhi, dove ho fatto presente che la produzione storiografica ospitata da Studi Trentini è molto spesso esplicitamente poggiata su ricerche d’archivio, e anche da questo la rivista trae la sua qualità.
In entrambi i numeri l’editoriale è derivato dalle elucubrazioni del direttore che – lasciate da parte le ancora attuali, ma perigliose questioni riguardanti la “cultura popolare” – ha inutilmente discettato nel primo caso della memoria del Concilio di Trento a Trento e nel secondo del preambolo di un terzo statuto di autonomia che probabilmente è ancora molto di là da venire (sul n. 1 l’editoriale è stato accompagnato da una riflessione sul problema della divulgazione della ricerca storica e sul n. 2 da un altro intervento sullo statuto). Sulla rivista sono poi comparse ben 19 recensioni; quattro necrologi; il verbale dell’assemblea del 13 maggio 2017; le schede bibliografiche riferite a pubblicazioni di storia e cultura trentina uscite nell’anno 2016 (in netto calo rispetto all’anno precedente: su questo tornerò in chiusura).
Ringrazio coloro che hanno permesso tutto questo: redazione e commissioni hanno lavorato efficacemente, riunendosi in forma plenaria tre volte, il 23 gennaio, il 19 giugno e il 5 dicembre 2017; in alcune occasioni si è riunita, in orario meridiano, la redazione ristretta mentre i redattori e i collaboratori scientifici hanno continuato a ricevere informazioni con ritmo almeno mensile.
Rispetto all’anno precedente, meglio è andata con le presentazioni: si è parlato del n. 1/2017 il 6 aprile a Mezzolombardo (grazie all’invito dell’Associazione Castelli del Trentino), il 20 aprile a Levico (su invito dell’Associazione Chiarentana; sono intervenuti Mauro Nequirito e Alessandro Paris) e il 29 agosto a Folgaria (su invito della Biblioteca comunale; sono intervenuti Sonia Forrer e Roberto Antolini). Il n. 2/2017 è stato presentato il 6 dicembre a Trento, presso la Biblioteca di San Bernardino [sopra: Biblioteca San Bernardino] (con interventi di Serena Luzzi e Paolo Dalla Torre) e il 14 dicembre a Isera (nell’ambito del ciclo organizzato dall’Associazione Lagarina di Storia Antica; il direttore ha affiancato Gianluca Pederzini). Non dimenticherei infine che nel corso del 2017 è stata pubblicata la monografia sui documenti del maso di Antraque, presentata in anteprima a Bolognano il 19 luglio (nell’ambito della Summer School di archeologia partecipativa dell’Oltresarca), quindi a Roncegno l’8 novembre; a Trento, presso l’Università, il 27 marzo 2018; a Mezzolombardo, su invito dell’Associazione Castelli, il 19 aprile 2018; Italo Franceschini ne parlerà a Bertinoro nel contesto del I Convegno della medievistica italiana il 14 giugno. All’inizio del 2018 è inoltre uscita la monografia sulle memorie degli ufficiali austroungarici, curata da Nicola Fontana.
Il presidente ha già esposto con ampiezza le linee programmatiche della Società, non solo in questa sede ma anche nell’editoriale del n. 1/2018, che confidenzialmente ha definito “canederlo”, vale a dire agglomerato di ingredienti semplici e genuini, derivanti in gran parte da scarti di cucina (almeno immagino che intendesse questo). Mi sia concesso in questa assemblea – con la quale termina l’ottavo anno di mandato e comincia l’ultimo del terzo triennio – di aggiungere alle sue una mia riflessione. Senza voler fare catastrofismi, mi pare che a chi si occupa di storia il problema si stia trasformando, da qualitativo, quantitativo. Non si tratta solo della riduzione delle risorse che enti pubblici e privati destinano alla ricerca storiografica e alla corrispondente produzione editoriale. Non piangeremo certo per la scomparsa di monumentali ed effimeri Dorfbücher, di pubblicazioni fai-da-te dalla circolazione pari allo spessore scientifico, dell’esito di terapie di gruppo utili soprattutto alla creazione del consenso politico. Il timore è che all’inaridirsi di questi filoni non corrisponda il rivolgersi – del dibattito pubblico e giornalistico, nella coscienza dei singoli e nelle collettività – a studi e ricerche caratterizzati da maggiore rigore e serietà, ma semplicemente la rimozione della dimensione storica. L’overdose di storia può anche avere effetti gravi e talvolta letali, ma anche la sua assenza è sintomo di un più generale stato di malessere della nostra società.
Continueremo, nei ruoli che vengono e ci verranno affidati, a cucinare canederli, col brodo o col ragù. È noto che si tratta di un piatto gustoso che molti apprezzano e che inoltre – me lo riferisce la competenza del vicepresidente – può essere considerato tipicamente trentino.

Emanuele Curzel